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Robot viventi che si riproducono da soli

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Xenobot: robot viventi che si riproducono da soli

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Un argomento che desta interesse per le opportunità che potrà offrire in futuro è quello degli Xenobot, i robot viventi che si riproducono da soli. Gli Xenobot, potrebbero essere definiti come “organismi pluricellulari semi-sintetici, progettati con l’ausilio di un calcolatore affinché svolgano una funzione desiderata e realizzati combinando insieme diversi tessuti biologici”. 

Sinteticamente potremmo dire che sono delle creature robotiche realizzate con cellule viventi o per meglio dire, delle cellule staminali recuperate da rane in fase embrionale: sono quindi a tutti gli effetti degli organismi, seppur semi-sintetici in quanto composti da diversi tessuti biologici. 

Chi ha scoperto gli Xenobot?

I 4 scienziati che nel gennaio 2020 hanno fatto questa scoperta sono Josh Bongard, Michael Levin, Sam Kriegman e Douglas Blackiston e provengono da tre realtà diverse: l’Istituto Wyss di Harvard, l’Università del Vermont e la Tuft, dove, in molti anni di ricerca e studio, hanno analizzato dei sistemi che potessero auto-replicarsi, condividendo le conclusioni delle loro attività attraverso il Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). 

Questo degli Xernobot è sicuramente l’ultimo tassello di un progresso scientifico della biologia sintetica in cui le cellule artificiali stanno diventando sempre più simili a quelle biologiche. E’ la degna conclusione di un progetto nato nei primi anni 2000, quando il John Craig Venter Institute (JCVI), che allora era chiamato The Institute for Genomic Research (TIGR), avviò una ricerca sulla creazione della prima cellula sintetica con DNA minimo che fosse in grado di sopravvivere e di auto-replicarsi. Del resto la biologia sintetica o symbio, è proprio quel ramo scientifico della biologia che ha come scopo quello di creare in laboratorio dei (micro)organismi artificiali e/o la sintesi efficace e veloce di lunghe sequenze di DNA, non utilizzando alcun modello naturale. 

xerobot

 

Perché si chiamano Xenobot?

Gli Xenobot prendono il nome dallo xenopo liscio o platanna, una rana acquatica endemica dell’Africa australe, in quanto la loro creazione parte proprio dalle cellule di questo organismo che viene spesso utilizzato come modello negli studi di biologia evolutiva dello sviluppo e di biologia sintetica.

Qual è la loro composizione?

Sono composti esclusivamente da cellule ectodermiche e miocardiociti derivanti da cellule staminali, ricavate appunto da embrioni di xenopo liscio allo stadio di blastula e sono organismi dalle dimensioni di circa un millimetro e costituiti da circa 3000 cellule.

Nella loro composizione le cellule ectodermiche e i miocardiociti svolgono due funzioni ben distinte: le prime fungono da “scheletro”, ossia forniscono un supporto rigido mentre i secondi assolvono alla funzione di “piccoli motori”, assicurandone il movimento mediante contrazioni ed espansioni. 

La forma dello Xenobot e la distribuzione spaziale dei suoi tessuti invece sono state progettate da un software che ha utilizzato un algoritmo evolutivo in grado di far corrispondere una precisa attività biologica ad una determinata struttura 3D per essere in grado di replicarsi su più generazioni.

 

Come funzionano?

Dagli stessi scienziati che hanno portato a termine la loro creazione, gli Xenobot sono stati definiti come “organismi viventi programmabili”, non sono quindi né dei robot tradizionali, nonostante vengano creati in laboratorio né sono una specie animale, sebbene siano costituiti da tessuti e siano in grado di compiere semplici funzioni biologiche.

Il gruppo di ricercatori, prima di arrivare a questo risultato, per anni ha studiato dei sistemi che potessero auto-replicarsi, scegliendo delle cellule ben precise come le staminali che vengono definite totipotenti o pluripotenti, ovvero non specializzate, con la capacità di trasformarsi in diversi tipi cellulari a seconda delle necessità e degli stimoli chimici.

Hanno deciso poi di utilizzare il cluster del supercomputer “Deep Green” dell’Università del Vermont, in grado di far funzionare un complesso algoritmo evolutivo di intelligenza artificiale, capace di creare migliaia di modelli di nuove forme di vita, testando miliardi di configurazioni in cui le cellule potessero disporsi. Le strutture sperimentate andavano dalla piramide alla sfera, dai parallelepipedi ad una disposizione a forma di stella marina fino a moltissime altre, individuando infine la forma ideale, quella cioè che permettesse di osservare la replicazione delle cellule nel modo più efficace.
Una volta che sono riusciti ad ottenere a livello teorico questa configurazione, i ricercatori l’hanno ricreata nella pratica, in laboratorio, realizzando delle piccole sferette, contenenti poche migliaia di cellule che si spostano e ne inglobano delle altre.
Per spiegare in maniera semplice il loro funzionamento i creatori hanno voluto fare riferimento ai Pac-man, i protagonisti del videogame degli anni ’80.

Perché sono stati assimilati ai pac-man?

Come i pac-man, gli Xenobot sono organismi pluricellulari piccolissimi, della dimensione di pochi millimetri, delle piccole sfere che si spostano e, al loro passaggio, ingurgitano le altre cellule che trovano sul proprio cammino e si auto replicano. Questo loro modo di operare fa degli Xenobot una scoperta inedita in quanto la cinematica della replicazione era già nota su scala molecolare ma non su quella più estesa di intere cellule e di piccoli organismi e nessuna forma animale o vegetale, finora, era mai stata riprodotta in questa maniera.
Inoltre contrariamente alle tecnologie tradizionali su cui si fondano le cellule sintetiche, gli Xenobot non sono inquinanti né durante la loro attività né durante la loro degradazione: infatti, essi prendono l’energia dal grasso e dalle proteine naturalmente presenti nei propri tessuti, caratterizzati da una durata di circa una settimana, finiti i quali gli Xenobot si trasformano semplicemente in piccoli ammassi di cellule morte.
Ecco perché vengono definiti dei “robot viventi” completamente biodegradabili e non tossici.
Ma, aldilà di aver creato degli organismi artificiali viventi, la vera conquista dei suoi creatori è stata quella di aver realizzato dei robot microscopici che fossero in grado di assolvere ad un determinato compito. Come ci spiega Josh Bongard, uno dei ricercatori che ha lavorato al progetto ed esperto di robotica e informatica dell’Università del Vermont
Se si riescono a sviluppare delle tecnologie come gli Xenobot, dove si può dire rapidamente all’intelligenza artificiale che “abbiamo bisogno di uno strumento biologico che produca X e Y ma elimini Z”, per l’umanità diventa un gran vantaggio, visto che oggi, per un processo simile, ci vogliono dei tempi molto lunghi.

Come possono essere utili gli Xenobot?

Ad oggi gli Xenobot, per quanto molto interessanti nel campo scientifico, rimangono una scoperta che non possiede un’applicazione pratica. Infatti, dalla loro creazione, sono stati utilizzati soprattutto come strumento utile a capire come le cellule possono interagire tra loro per costruire corpi complessi durante la morfogenesi e l’obiettivo dichiarato di chi ha portato avanti il progetto era solo quello di comprendere come poteva funzionare la riproduzione tra queste “macchine viventi”.

Secondo gli stessi creatori, però, la combinazione di biologia molecolare ed intelligenza artificiale con cui sono realizzati, li farebbe diventare molto utili per rendere alcuni processi estremamente più rapidi rispetto alle tempistiche attuali, per sviluppare delle nuove tecnologie.

particelle di xerobot

Per quali impieghi possono essere utilizzati?

Per esempio, grazie ai diversi algoritmi di intelligenza artificiale con cui sono stati progettati, gli Xenobot sono in grado di camminare, nuotare, trasportare carichi e lavorare assieme in gruppo e, tra le funzioni più semplici, potrebbero essere utili a radunare i detriti sparsi sulla superficie di una piastrina in modo da formare delle pile ordinate. La loro capacità di sopravvivere per diverse settimane con un apporto nutritivo esterno e tornare ad essere perfettamente operativi anche dopo aver subito una lieve lacerazione, li porta ad essere un’importante risorsa sia per quanto riguarda il corpo di noi esseri umani che per l’ambiente.

Ecologia

In tal senso i 4 scienziati autori del progetto sono convinti che, per la loro biodegradabilità unita alla capacità di raggruppare carichi, possano risultare molto adatti alla raccolta di microplastiche dagli oceani, un’attività questa che aiuterebbe sicuramente a contrastare i cambiamenti climatici.

Funzioni in campo medico

Con uno studio ed una conoscenza più approfondita potrebbero rivelarsi utilissimi anche in medicina ed essere utilizzati per studiare e conoscere a fondo come si possa replicare un virus e di conseguenza potrebbero risultare importanti anche per la fase di produzione dei vaccini.
Un altro loro possibile impiego potrebbe essere nella medicina rigenerativa, per ripristinare dei tessuti danneggiati o per la somministrazione intelligente dei farmaci con la consegna mirata all’interno di un corpo umano.

Si potrebbero realizzare degli Xenobot con delle cellule staminali del paziente stesso, al fine di evitare i problemi di risposta immunologica che possono essere scatenati, invece, da sistemi simili basati sull’uso di micro-robot o da altre tipologie di cellule. Aggiungendo poi altri tipi cellulari e un’ulteriore bio-ingegnerizzazione potrebbero essere utilizzati per la localizzazione di tumori oppure per la rimozione di placche dalle arterie.

Funzioni in campo elettronico

Un ulteriore utilizzo li potrebbe vedere impegnati anche nella riparazione dei circuiti elettrici negli ambienti ostili, dove l’attività degli uomini incontra maggiore difficoltà di intervento.
Come si può vedere l’utilizzo degli Xenobot potrebbe rivelarsi molto utile in molteplici settori ma solo il loro studio e una conoscenza sempre più capillare delle loro capacità potranno dirci in che modo sarà possibile usarli a nostro vantaggio e quale sarà il loro apporto per la salvezza del pianeta.
L’unica cosa certa in questo momento però, accanto ai tanti condizionali sul loro impiego, è che l’utilizzo degli Xenobot potrebbe richiedere tempi lunghi e ancora tanti anni di ricerca e di sperimentazione.

Giulio Benvenuti
Sono fondatore di un hedge fund e fornisco consulenza sulla creazione e sviluppo di hedge fund e veicoli d’investimento con sottostante finanziario, real asset e private Equity / Venture Capital.

Dopo aver lavorato diversi anni in due tra le principali reti di consulenza finanziaria in Italia, ho avviato un attività in proprio fornendo in modo indipendente advisory finanziaria e specializzando le mie competenze negli hedge fund.
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