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Nanobot le nuove frontiere della guarigione

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I nanobot o nanorobot si sentono nominare sempre più spesso ma non tutti sanno veramente a che cosa servono o potrebbero servire…quindi per non scivolare come al solito sulla buccia delle fake news quando si parla di novità, oggi ti parlo di futuro.

I nanobot sono dei robot su scala nanometrica con una grandezza che varia da 0,1 a 10 micrometri, dimensioni vicine a quelle molecolari o di atomi. 

Infinitamente piccolo, quindi, visto che un nanometro (nm) corrisponde alla miliardesima parte del metro e un micrometro (µm) alla millesima parte del millimetro. 

Il nome nasce proprio dalla combinazione tra la scala in cui vengono realizzati e il termine robot.  Anche se il vocabolo nanobot è quello più conosciuto, quando se ne parla in un contesto scientifico, si utilizza il termine nanorobot mentre la parola nanobot è rimasta legata al contesto fantascientifico. I nanobot sono stati creati dai ricercatori di nanotecnologie e vengono studiati dalla nanorobotica, una delle aree di ricerca più rilevanti del XXI° secolo. Questa disciplina si avvale delle metodologie e delle tecnologie utilizzate dalle nanotecnologie per lo sviluppo di nano fabbricazioni e per questo può essere applicata a tutte quelle situazioni che richiedono una precisione sulla scala dell’atomo. 

Vengono utilizzati per la produzione di nanomotori, nano attuatori, nanosensori e per la realizzazione di modellistica fisica su nanoscala. 

Tra le tecnologie usate ci sono quelle di biomeccatronica che vogliono analizzare la manipolazione delle cellule o delle molecole biologiche, l’assemblaggio di parti di dimensioni nanometriche e le varie tipologie di robot usati per adempiere a questi lavori su scala.

Il primo esempio di nanorobot si ebbe nel 2004 quando a Los Angeles un ricercatore americano, Carlos Montemagno, insieme al suo gruppo di lavoro, ne sviluppò uno a carburante glucosico, spesso quanto un capello umano, realizzato prendendo un piccolissimo frammento del muscolo cardiaco di un topo e che si muoveva ad una velocità di 40 micrometri al secondo. Dopo questo primo esperimento, gli stessi scienziati realizzarono un altro nanorobot che aveva due piccolissime zampe che potevano muoversi e piegarsi, grazie a giunture meccaniche alimentate dalle cellule di muscolo cardiaco di un topo, senza bisogno di essere alimentato dall’esterno.

 Da quel momento ad oggi quest’area di ricerca ha fatto passi da gigante e sono stati realizzati molteplici esemplari di nanobot soprattutto quando si è capito che potevano essere utili in moltissimi campi scientifici, come la fisica, la chimica, la biologia, la ingegneristica e soprattutto la medicina. 

A che cosa servono i nanobot

Cerchiamo di capire in maniera più specifica a che cosa servono i nanobot. Abbiamo sin qui visto che i nanobot sono dei robot che effettuano mansioni su scala nanometrica e che vengono studiati dalla nanorobotica che ha come compito quello di progettare, programmare, produrre e controllare questi minuscoli robot e come obiettivo ha quello di offrire la giusta strumentazione per esplorare il nanomondo. Teoricamente i nanobot, per le loro dimensioni, possono essere utilizzati ovunque e, se programmati in maniera corretta, possono modificare le materie prime, facendole diventare qualunque cosa, dalle proteine ​​agli alimenti, ai minuscoli microprocessori. Ed è per questo motivo che i nanorobot svolgono un ruolo centrale nell’elettronica, nella ricerca e sviluppo dei materiali, nella biotecnologia e soprattutto nella medicina dove secondo gli scienziati potranno un giorno sostituire i pacemaker.

 In questo campo l’utilizzo dei nanobot come nuova tecnologia viene considerato dai ricercatori molto promettente e utile perché, avendo le stesse dimensioni degli invasori del corpo umano, oltre a poter sostituire le operazioni di microchirurgia invasiva, sono nella condizione di poterli contrastare efficacemente come se fossero dei soldati che combattono e liberano dai nemici, come virus o cellule cancerogene, soprattutto perché possiedono una caratteristica molto importante per la medicina, la resistenza che, per le loro nano dimensioni, gli permette di funzionare per molto tempo senza arrecare danni. 

Il cancro è sicuramente la malattia più infame per un essere umano e aver trovato, al momento solo in fase di test, un nuovo modo di combatterlo ma soprattutto un modo meno invasivo rispetto alla chemioterapia, potrebbe significare il raggiungimento di un traguardo molto importante. Mentre la chemio uccide tutte le cellule in divisione sia quelle sane che le infette, causando spiacevoli effetti collaterali, i nanobot medici, così come hanno dimostrato i test sui topi, riuscirebbero a rilasciare il farmaco solo sulle cellule malate, salvando quelle sane. Sempre in campo medico vengono utilizzati dei Nanorobot con trasmettitori wireless per degli screening approfonditi sia per fare delle diagnosi precoci sia per sincerarsi che vada tutto bene. Un altro utilizzo dei nanobot è in odontoiatria con la nano dentistry per indurre l’anestesia orale, il raddrizzamento dei denti e il miglioramento della durata dei denti e infine esistono dei Nanorobot impiantati nel sistema nervoso che servono per monitorare le attività del polso e delle onde cerebrali. Accanto a questi che vengono già utilizzati nel campo medico ce ne sono altri in fase di sperimentazione, vediamone qualcuno:

  • Nanorobot respirociti che sono globuli rossi meccanici artificiali, con forma sferica e con un diametro di un micron, un millesimo di millimetro; il loro scopo sarebbe quello di trasportare un maggiore ossigeno rispetto ai globuli rossi naturali e diventerebbero molto utili per i pazienti che soffrono di anemia.
  • Nanorobot microbivori che funzionano come i globuli bianchi ma hanno una velocità maggiore nel distruggere i batteri, eliminando le infezioni batteriche di un paziente in pochi minuti.
  • Nanorobot di riparazione cellulare, ho già accennato sopra che potrebbero essere molto utili alla chirurgia che così potrebbe operare in modo più preciso, lavorando a livello cellulare e prevenendo una gran parte dei danni causati dal bisturi.
  • Nanorobot clottociti lavorerebbero come le piastrine del sangue, che hanno un ruolo molto importante nell’emostasi e nella coagulazione del sangue ma in un tempo infinitamente minore.
  • Nanorobot farmaciti: avrebbero la funzione di somministrare, velocemente e con grande precisione, degli agenti farmaceutici a destinazioni cellulari e intracellulari specifiche all’interno del corpo umano.

Grazie anche alle ingenti somme di denaro che sia le industrie private sia i gruppi governativi stanno investendo in ricerca e sviluppo, dal 2000 esistono progetti di ricerca come quello della Nanofactory Collaboration che  lavorano per sviluppare le potenzialità dei nanobot e, nonostante la strada da percorrere sia ancora molto lunga, ogni anno che passa ci si avvicina sempre di più alla loro affermazione definitiva. 

Come è fatto un nanobot?

Abbiamo visto come negli ultimi decenni la nanotecnologia si sia prepotentemente affacciata nel campo della medicina, attraverso l’utilizzo di nanorobot che, grazie alle loro dimensioni molecolari o addirittura atomiche,  hanno la funzione di agire sull’ambiente circostante e di modificarlo in maniera controllata. Soprattutto una ricerca recente della Cornell University, nello stato di New York, ha avuto il merito di realizzare i primi nanorobot iniettabili la cui funzione è quella di incorporare componenti semiconduttori, consentendo loro di essere controllati e di camminare attraverso dei segnali elettronici standard.

Questi nanobot hanno delle dimensioni come un organismo unicellulare, possono essere considerati un modello base con l’obiettivo di creare in un futuro, speriamo non molto distante, versioni ancora più complesse, prodotte in serie e che un giorno potrebbero viaggiare attraverso il sangue e i tessuti umani. A differenza dei nanorobot costruiti in precedenza che si muovevano con dei magneti manipolati dall’esterno, questi sviluppati dalla Cornell University sono, nè più nè meno, dei robot miniaturizzati muniti di gambe meccaniche funzionanti e controllate da componenti elettronici a base di silicio.

Questi nanorobot sono dotati di uno spessore di circa 5 micron, una larghezza di 40 micron e una lunghezza compresa tra 40 e 70 micron. Ognuno di questi robot viene realizzato con un semplice modulo fotovoltaico in silicio, che ne costituisce il tronco e il cervello, e quattro attuatori elettrochimici che funzionano come gambe. I robot vengono controllati dagli scienziati, facendo lampeggiare degli impulsi laser sui diversi impianti fotovoltaici, ognuno dei quali carica una serie separata di gambe: muovendo il laser avanti e indietro, tra il fotovoltaico anteriore e posteriore, il robot cammina.

Nonostante siano ancora in una fase di sperimentazione, questi nanobot dispongono di un alto livello tecnologico in quanto funzionano a bassa potenza, appena 10 nanowatt ed a bassa tensione, cioè a 200 millivolt. Anche se hanno delle dimensioni micro, sono comunque in grado di resistere ad ambienti acidi ed a sbalzi di temperatura e possono essere fabbricati in parallelo, visto che vengono realizzati con processi litografici standard. 

Come abbiamo potuto capire, questa area di sviluppo dei nanorobot è sempre in continuo divenire e in cui gli scienziati non si accontentano dei risultati ottenuti ma si proiettano verso il futuro per cercare delle soluzioni sempre migliori. Il loro prossimo passo sarà quello, attraverso un’elettronica più complessa, di rafforzare i nanorobot con l’obiettivo di creare degli sciami di piccolissimi robot che possano essere introdotti nel corpo umano per poterlo curare, suturando vasi sanguigni, ristrutturando tessuti oppure sondando delle aree del cervello umano.

Giulio Benvenuti
Sono fondatore di un hedge fund e fornisco consulenza sulla creazione e sviluppo di hedge fund e veicoli d’investimento con sottostante finanziario, real asset e private Equity / Venture Capital.

Dopo aver lavorato diversi anni in due tra le principali reti di consulenza finanziaria in Italia, ho avviato un attività in proprio fornendo in modo indipendente advisory finanziaria e specializzando le mie competenze negli hedge fund.
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